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Capo Colonna, faro della Magna Grecia

Capo Colonna, faro della Magna Grecia
di Ursula Basta

 

A luglio ha riaperto al pubblico l’Area Archeologica di Capo Colonna a Crotone, grazie all’intervento di valorizzazione della FAI e l’iniziativa I Luoghi del Cuore, sostenuto anche da Intesa San Paolo.

 

Il parco archeologico di Capo Colonna, anche noto come Capo Lacinio perché contenente il santuario dedicato alla dea Hera Lacinia, è uno dei siti più importanti della Magna Grecia. Il nome deriva dal fatto che tutto ciò che resta oggi dell’antico edificio sacro è un’unica colonna. È l’unica superstite di un edificio possente, evocatore di un passato glorioso che suscita nei visitatori emozioni uniche. La sua immagine è a tratti sospesa tra l’azzurro del mare e quello del cielo – che a tratti si confondono.

Un luogo che a oggi lascia solo intravedere la sua straordinaria storia e il prestigio che il tempio aveva in tutto il Mediterraneo, in cui il fuoco lacinio dettava la rotta ai naviganti e da cui arrivavano navi colme di tesori come tributo alla dea.

Ne Il saluto del vulcano, Paolo Rumiz introduce il viaggiatore nel sito prefigurandone già la nostalgia dopo l’abbandono, attraverso la storia di uno dei più grandi condottieri mai esistiti: Annibale. Prima di lasciare per sempre l’Italia e ritornare a Cartagine, egli si fermò qui, alla fine di un viaggio lungo le tracce di Eracle, al cui culto la città di Crotone è legata.

Ma il peggio è scoprire che il Capo è superiore a tutto questo: se ne sta con la sua solitaria colonna, appoggiato ai faraglioni, come un oggetto celeste indifferente agli umani. Astronave immobile sotto l’ultimo cielo italiano di Annibale.

Il santuario

Il promontorio ha una posizione strategica lungo le rotte costiere che collegano Taranto allo stretto di Messina. La sua forma a falce ne fa fin dall’antichità un porto naturale, usato come approdo sicuro dai naviganti. Hera proteggeva la navigazione e questo santuario era conosciuto ovunque come luogo di riparo e di asilo.

Situato a dieci chilometri da Crotone, vi si arriva tramite una strada provinciale che corre lungo la costa, seguendo uno scenario unico! L’area comprende trenta ettari di terreno adibito a scavi e venti di bosco e macchia mediterranea. La tradizione antica riteneva il Lacinio una sorta di Eden, dove mandrie di animali sacri di ogni specie pascolavano in un rigoglioso bosco-giardino.

All’interno del Parco il Museo Archeologico conserva buona parte dei reperti provenienti dall’area di scavo del promontorio e fornisce una guida di lettura essenziale al Parco stesso.

La storia del santuario è legata alla storia della colonia greca di Kroton, l’odierna Crotone, fondata alla fine dell’VIII secolo (708 a.C.) da un gruppo di Achei che scelsero la posizione per la sua fondazione dopo aver consultato l’oracolo di Delfi. Ecco perché il tripode delfico è da sempre simbolo della città.

Terra della scuola di Pitagora, che da qui inizia il suo progetto di riforma spirituale e culturale, e della medicina di Alcmeone, di vincitori di Olimpiadi. Le donne erano di una bellezza tale che anche il famoso pittore Zeusi vi si reca per cercare la modella per il suo dipinto di Elena.

L’area archeologica

Al sito si accede attraverso la monumentale porta antica costruita in età romana, come anche le mura che si vedono oggi sul sito, nate per difendere il centro urbano da incursioni esterne.

Da qui si percorre la strada sacra attraverso cui avvenivano le processioni dei fedeli. Questa attraversa longitudinalmente il santuario e collegava il tempio al bosco sacro.

Il grande tempio dorico è la costruzione più importante del santuario e risale al V secolo a.C. Aveva sei colonne sulla parte frontale e 14 sui lati lunghi ed era uno dei pochissimi templi della Magna Grecia che presentava sculture di marmo, materiale importato e molto costoso. Il prospetto del tempio si offriva alla vista dei naviganti, enfatizzato dalla grande scalinata protesa verso il mare Ionio. L’unica colonna dorica che rimane è oggi uno dei simboli della grecità d’Occidente.

Ancora più antico il tempio minore, detto edificio B, che una volta costruito il tempio maggiore diviene il luogo dove vengono deposti i doni votivi alla dea, provenienti da tutto il Mediterraneo. Questo edificio ritorna alla luce solo tra il 1987 e il 1989, insieme al suo tesoro, tra cui spicca lo splendido diadema in lamina d’oro esposto oggi nel Museo Archeologico Nazionale nel cuore della città di Crotone.

Altri edifici annessi al santuario erano poi destinati a ricevere ed alloggiare i pellegrini.

L’età romana e la fin del santuario

In età romana, il Lacinio e la città di Croto ormai annesse a Roma vedono un periodo di crisi. L’abitato romano che sorge nel promontorio a partire dal II sec a.C. per controllare le rotte navali per l’Adriatico, vede sorgere sia edifici privati come case e botteghe e sia edifici pubblici come le terme, il cui edifico vede la luce di nuovo solamente nel 2003 e il cui magnifico mosaico ora non è visibile.

Tra l’XI e il XVII secolo d.C. l’intera area diviene cava di estrazione di materiale edilizio che verrà utilizzato per edifici di nuova costruzione come i moli della città e il castello.

Cosa rappresenta oggi Capo Colonna

L’apertura della cultura greca e il Mediterraneo narrano da sempre di civiltà che vivono i confini come punti di contaminazione.

I santuari che sono porti, che illuminano la via per mare dei naviganti, che danno asilo e ristoro narrano di una storia attuale, in cui tuttavia abbiamo perso l’idea di un mondo unico, in cui si sta tutti attorno a un mare, che è di tutti, in cui ci si incontra.

Lo stesso Ulisse, che pure approda presso il Lacinio, è simbolo di un’umanità che parte e che torna, che viaggia, che incontra, che torna ricco che alla fine del viaggio, perché, come dice Kavafis:

 

Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.

E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.

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