“La progettazione è un atto politico”- [Vincenzo di Maria]
“La progettazione è un atto politico”- [Vincenzo di Maria]
di Ursula Basta
Progettare è studiare le possibilità relative a un’idea. Dal latino proiectare, letteralmente gettare in avanti, questa è una parola che guarda al futuro: proietta una visione, nel senso più trasversale del termine, dall’architettura al design, alla semplice volontà di pianificare. Le nuove idee portano alla costruzione di nuovi modi di relazionarsi e nuovi spazi di interazione. In quello che viene chiamato design collaborativo,l’ideazione e lo sforzo vengono condivisi, i progetti che ne risultano rispondono così efficacemente e in maniera multidirezionale alle reali esigenze dichiarate. Un modello democratico, una strategia, quella della user experience, che guarda alle persone, all’intelligenza collettiva per uscire dai tradizionali schemi di business e creare valore. Questo tipo di progettazione sociale è declinabile in ogni ambito e campo di applicazione, è semplicemente un processo che parte dalla definizione di un problema o di una esigenza, da una domanda, e arriva a delle possibili soluzioni tramite un confronto con le persone, dagli attori direttamente coinvolti a quelli esterni.
Volevo partire da una storia e da una riflessione per arrivare a come questo tipo di progettazione comunitaria e condivisa possa mettere in atto un senso e una volontà di partecipazione differenti, che ne costituiscono poi il vero aspetto/manifesto politico, ed è necessaria se vogliamo cambiare il paradigma della realtà per come la conosciamo.
“Compromise in colours is grey” – Edi Rama, una storia
Edi Rama, primo Ministro d’Albania, in questa presentazione a TED racconta il perché delle sue strategie politiche strettamente legate all’arte, quando nel 2000 diventa sindaco di Tirana. Rama è un artista e crede fermamente che l’arte sia una forma di azione politica. Questo il motivo per cui uno dei primi interventi del suo mandato è quello di dipingere i palazzi del centro cittadino: i colori sgargianti scelti per la riqualificazione coprono col tempo il grigio della ex città comunista e tramite quella che potrebbe passare per un’installazione artistica, il colore diventa presto un modo per cui i cittadini si riappropriano dello spazio comune. C’è un passaggio cruciale nel video in cui voglio soffermarmi: il momento in cui un cittadino dice “there are colours, street lights, new pavements, trees…so it’s beautiful, it’s safe!”.
La bellezza col tempo dà speranza e aiuta le persone a sentirsi ‘sicure’ nella propria città, innescando inoltre un meccanismo di responsabilizzazione nei confronti dello spazio comune, cittadino, con uno spirito partecipativo che nasce dalla volontà di voler far parte di un cambiamento, di una nuova bellezza che dopo anni è di nuovo visibile, accessibile a tutti, democratica.
Vivere nell’oggi – Francesco Piccolo, una riflessione
“Noi pensiamo sempre che c’è stato un passato migliore, in cui le persone si occupavano, tutte, di questioni importanti. Pensiamo che siano i nostri tempi a essere superficiali, perduti. E’ questa certezza che ha reso saldo il nostro istinto reazionario, in qualsiasi spazio di vita. Era meglio prima.
Gli uomini primitivi, quando arrivava la luce del giorno, uscivano dalle caverne e rischiavano la vita anche per procurarsi coralli per fare collane. Rischiavano allo stesso modo, sia per la sopravvivenza sia per la vanità. La superficialità ha diritto di esistere, quanto la profondità. La vita politica, la vita contemplativa e la vita dedita ai piaceri sono sempre esistite contemporaneamente, e la capacità di farle convivere è il compito di ogni individuo e di ogni comunità”.
Da questa riflessione tonda scaturisce una verità e soprattutto l’idea di un possibile futuro: le piccole realtà del territorio calabrese, non possono sperare di salvarsi con la macroeconomia, ma hanno una possibilità nel recupero delle attività legate alle specificità territoriali e identitarie e alla bellezza, a quello che può essere in qualche modo considerato effimero, altrettanto necessario all’umanità, come avevano ben compreso gli uomini primitivi. Tuttavia questo deve avvenire tramite un processo di condivisione e partecipazione che smetta di guardare al passato con un sentimento di rassegnazione e decida di andare avanti, che smetta di sperare e inizi a fare.
Innovazione e identità, quale possibile futuro?
Questi due passaggi volevano arrivare a una domanda: come possiamo noi lavorare insieme oggi, agire nella nostra realtà quotidiana per innescare un cambiamento, una ripartenza, guardando al rapporto tra bellezza, comunità, spazio cittadino, rigenerazione, economia?
Si parla di innovazione certo, ma che cos’è la vera innovazione se non cambiare i comportamenti delle persone, come dice Francesca Folda in una sua intervista.
Portare le persone a riappropriarsi di uno spazio comune, collaborare, costruire sul territorio porta a un altro passaggio cruciale, e qui cito Umberto Galimberti: “L’individuo esiste solo grazie alla relazione, è la relazione a generare l’individualità” e ancora, “l’identità è frutto del riconoscimento, è un prodotto sociale”.
Non possiamo pensare di creare valore se prescindiamo dal costruire sulla nostra identità, senza riconoscere l’importanza della collettività e della partecipazione.