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Fili Meridiani

Le uova rosse di Carfizzi: un rito di comunità

La kucupë pasquale

Nella settimana che precede la Pasqua, a Carfizzi (provincia di Crotone) le case si colorano di rosso.

È ora infatti che avviene la preparazione delle kucupët (le cuzzupe), un dolce tipicamente pasquale diffuso in tutta la Calabria e che è caratterizzato dalla presenza di uova sode, colorate di rosso, decorative dell’insieme.

La particolarità della nostra tradizione arbëreshe è che l’uovo sodo che viene sistemato al centro del dolce, prima della cottura, viene colorato di un rosso intenso mediante una radice: la robbia, in arbëresh rôzë.

 

 

Si tratta di una pianta tintoria, conosciuta fin dai tempi antichi, che cresce spontanea nella macchia mediterranea che circonda Carfizzi.
Le lunghe radici rossastre dopo tre anni hanno lo spessore di un dito e contengono la maggior parte della materia colorante.
Dal medioevo in poi la robbia diviene una delle più importanti sostanze coloranti, serviva anche alla colorazione dei tessuti, come i filati delle coperte.

Il procedimento

Le radici della pianta vengono ripulite dalle barbe, vengono lavate accuratamente e la guaina che ricopre la radice, la sua parte più esterna da cui si estrae il colore, viene prima pestata e poi immersa nell’acqua. A questo punto si esegue una prima bollitura, l’acqua si lascia freddare e si immergono le uova. Più le uova sono scure (non bianche) e più ruvido è il loro guscio, più il rosso a fine procedimento sarà intenso.

Una volta immerse le uova, facendo attenzione a posizionarle sul fondo della pentola e a coprirle con le radici, l’acqua si porta in ebollizione e si procede con la bollitura per una ventina di minuti. Il liquido si lascia raffreddare e solo a liquido freddo si estraggono le uova, in modo da non rischiare di romperle.

Le uova vengono così asciugate e lucidate con un panno intriso di olio d’oliva. Sono così pronte per decorare l’impasto delle kucupët.

 

Un rito di comunità

Il paiuolo (in arbëresh kusia) contenente il liquido tintorio serviva in realtà alla coloritura di più uova, passava infatti di casa in casa, facendo il giro della gjitonia, ossia del vicinato, o di diverse famiglie.

Quando si parla di condivisione, di fare comunità, è di questo che parliamo.

Le cuzzupe (kucupët) pasquali, dalle mille forme arabescate, venivano poi consumate durante la Pasqua, andavano anche a far parte del ricco corredo del pranzo della Pasquetta. E naturalmente venivano regalate, soprattutto ai bambini, sono da sempre infatti un dolce di buon augurio.

“Le radici sono importanti”

Uno dei riti che racconta di una storia antica, del legame e della conoscenza del territorio circostante e che, come rito, restituisce uguali tutte le case e rende uguali tutti noi, avvicinandoci al bello attraverso il bagaglio culturale che come comunità condividiamo. Nel 2015, ne scrivevo anche ne La partenza nel ritorno:

“Il sapore di una ritualità antica che s’incontra a metà strada tra il sacro e il profano, nelle mani esperte di chi solo vuole regalare un segno del tempo che ritorna, tessendo con un unico filo secoli di storie di donne. È lì che sta la magia: la tradizione, che sigilla quello stesso tempo rendendolo infinito, e che restituisce uguali tutte le case, vive anche in quelle lontane dai suoi luoghi, attraverso il rituale, passando poi attraverso una visione privata e soggettiva del bello, che a sua volta prescinde da un bagaglio culturale ed educativo incancellabile e generazionale”.

In tutto il procedimento che abbiamo raccontato, sono le radici quelle che rilasciano il colore e che trasferiscono la bellezza nelle cose nuove che facciamo, dandogli valore.

“Le radici sono importanti”. La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino

 

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